“La favola delle api”: la virtù da sola non può far vivere le nazioni nello splendore

I vizi sono la molla del benessere economico, le virtù sono solo causa di miseria sociale

L’Antropocene è la nuova era geologica caratterizzata dall’impatto sempre più determinante e incisivo delle attività umane sui grandi equilibri della biosfera e da una pressione considerevole sulle risorse naturali, creando delle dinamiche esponenziali su tutti i fronti: emissioni di gas ad effetto serra, uso di energie fossili, consumo di acqua, degrado dei suoli, deforestazione, distruzione delle risorse ittiche, erosione della biodiversità, dispersione di prodotti tossici e/o ecotossici…

Tra le cause che sembrano essere all’origine di questa ferocia dell’umanità nel distruggere le condizioni della sua stessa vita c’è la cosiddetta “cultura no-limits”, che porta l’uomo a rifiutare i limiti facendo della libertà un assoluto.

Bernard Mandeville, nel 1705, con la sua favola delle api (poema satirico “La favola delle api: ovvero vizi privati, pubbliche virtù“) ha fatto il primo passo verso un mondo assurdo in cui si suppone che i vizi privati generino le virtù collettive. L’apologia del consumo e della crescita, una cosa tira l’altra, è risultata alla base del consumo del pianeta che caratterizza l’Antropocene.

In essa descrive la vita di una società di api, resa ricca e prospera dai traffici dei suoi abitanti, ciascuno dei quali si sforza di soddisfare in ogni modo le proprie passioni, guidato esclusivamente dall’interesse privato. Nonostante la prosperità, favorita dall’arte politica dei governanti, le api non la smettono di alimentarsi, ipocritamente, dei vizi che inevitabilmente vi imperversano. Così Giove, esasperato, decide di intervenire, esaudendo il loro desiderio di moralizzazione. Il risultato è che nella nuova società, in cui regnano la frugalità e la temperanza, le attività e i commerci si bloccano, le api si impoveriscono e rimangono in poche, esponendosi alla conquista da parte dei nemici esterni.

L’intento di Mandeville era quello di criticare la società del suo tempo, svelandone alcuni aspetti paradossali, tra i quali il rapporto esistente tra il vizio dei privati e la produttività del sistema economico. Egli volle mostrare come i vizi siano il motore della produttività. Il lusso, la lussuria, l’avarizia, il gioco, l’animosità stimolano la produzione di beni, la creazione di servizi, la circolazione del denaro. Il vizio è necessario a garantire la costituzione di uno Stato potente, per stimolare la crescita, lo sviluppo e la sopravvivenza di una società.

La morale della favola con cui Mandeville conclude è chiara nel suo significato: «soltanto gli sciocchi cercano di rendere onesto un grande alveare», in quanto ricchezza e virtù sono incompatibili.